IL TRADIMENTO HA IN SÉ IL GERME DEL PERDONO

Così come la fiducia conteneva il seme del tradimento, il tradimento contiene in sé il seme del perdono. Ma il perdono è talmente difficile da dare, che probabilmente c’è bisogno della collaborazione dell’altro, di colui che ha tradito. Voglio dire che l’offesa, se non è ricordata da entrambi gli interessati (e ricordata come offesa), ricade tutta su colui che è stato tradito. Se è solo il tradito a percepire l’offesa, mentre l’altro ci passa sopra con razionalizzazioni, allora il tradimento continua, anzi si accentua. Questa elusione in malafede di ciò che è realmente accaduto è, di tutte le piaghe, la più bruciante per il tradito. Il perdono diventa più difficile; il risentimento cresce, perché il traditore non si assume la sua colpa e non prende con onestà coscienza del proprio atto. Jung ha detto che il senso dei nostri peccati è che dobbiamo assumerceli, vale a dire non dobbiamo scaricarli sugli altri perché li portino per noi. Per assumersi i propri peccati, bisogna prima riconoscerli, e riconoscere la loro brutalità. James Hillman, in Puer aeternus

Questa riflessione sul perdonare il tradimento è condivisa pienamente dal mio punto di vista professionale

Dottor Roberto Cavaliere Psicoterapeuta. Studio professionale in Milano, Roma e Salerno. Possibilità di effettuare sedute tramite videochiamata.

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IL PERCORSO PER PERDONARE UN TRADIMENTO

Il perdono è un processo lungo durante il quale si attraversano diverse fasi, ciascuna è indispensabile per riuscire realmente a superare la frattura creata dal tradimento

Per capire come arrivare a perdonare è necessario capire cosa è veramente il perdono. Spesso, infatti, si tende a confondere il perdono con la riconciliazionema sono due atti distinti. Perdonare significa riuscire a vedere i limiti di chi ci ha ferito, ridargli una dimensione più reale, di persona con pregi e difetti, comprendere senza per questo giustificare.

E’ un atto che richiede profondo equilibrio interiore nonché l’accettazione piena di noi stessi. Comprendere e accettare i nostri difetti e le nostre fragilità ci permette di farlo poi con gli altri. Perdonare non significa dimenticare ma far sì che il passato non continui a ferirci, ricordare senza provare dolore. In quest’ottica il perdono non è qualcosa che serve a chi ci ha offeso per liberarsi delle sue responsabilità ma innanzitutto un processo per liberare noi delle conseguenze dell’offesa che abbiamo ricevuto.

Non è facile perché molto spesso crediamo di aver perdonato e non è vero. Dopo aver preso consapevolezza di ciò per perdonare un tradimento è necessario compiere una serie di passaggi. Il tradimento rappresenta una profonda ferita personale per chi lo subisce, quasi assimilabile a un vero e proprio lutto.

Quindi, nella fase iniziale della scoperta non è possibile perdonare, è come chiedere a chi ha subito un lutto di dimenticare la persona che non c’è più. E’ necessario vivere la fase emotiva del dolore e della rabbia che segue la scoperta di un tradimento. Al contempo la persona che ha tradito deve permettere allavittima del tradimento di esprimere anche con forza tutto il dolore e la rabbia che ha dentro.

Tentare da parte dell’autore del tradimento di trovare subito delle spiegazioni razionali al proprio gesto non fa altro che amplificare dolore e rabbia della vittima che non solo si sente tale ma paradossalmente anche colpevolizzata. Solo dopo che si è attenuata la fase emotiva descritta, è possibile comunicare nella coppia e chiedersi perché sia successo.

Quindi alla fase emotiva ne segue una cognitiva di consapevolezza dell’accaduto. Solo alla fine di questa fase è possibile veramente perdonare. Il perdono non potrà essere mai totale, la ferita rimane, ha bisogno di tempo per cicatrizzarsi. Ilperdono è quindi un processo lungo e doloroso e non un atto isolato

Quando è un atto isolato e prematuro, non è vero perdono ma potrebbe solo nascondere la paura di perdere il partner, anche se ha tradito o rivelare un’incapacità di prendere atto di un disagio nella coppia che ha prodotto il tradimento. Un perdono come processo emotivo e cognitivo invece può rappresentare anche un momento di crescita psico-affettiva per la coppia.

Dottor Roberto Cavaliere

“Ma si può davvero perdonare, se è vero che l’Io si mantiene vitale solo grazie al suo amor proprio, al suo orgoglio, al suo senso dell’onore? Anche quando vorremmo sinceramente perdonare, scopriamo che proprio non riusciamo, perchè il perdono non viene dall’Io. E allora forse, meglio del perdono, che probabilmente è pratica insincera, a me sembra più costruttivo percorrere il sentiero del reciproco riconoscimento , dove chi ha tradito deve reggere la tensione senza cercare di rappezzare la situazione e, con brutalità cosciente, deve al limite rifiutare di rendere conto di sé. Il rifiuto di spiegare significa da un lato non misconoscere il tradimento ma lasciarlo intatto nella sua cruda realtà, e dall’altro che la spiegazione deve venire sempre dalla parte offesa. Del resto chi, dopo essere stato tradito, sarebbe in grado di ascoltare le spiegazioni dell’altro? Lo stimolo creativo presente nel tradimento dà i suoi frutti solo se è l’individuo tradito a fare un passo avanti, dandosi da sé una spiegazione dell’accaduto. Ma per questo è necessario che il traditore non giustifichi il suo tradimento, non tenti di attenuarlo con spiegazioni razionali, perchè questa elusione di ciò che è realmente accaduto è, di tutte le offese, la più bruciante per il tradito, e allora il tradimento continua, anzi si accentua.”

Da Le cose dell’amore di Umberto Galimberti, Feltrinelli

Dott. Roberto Cavaliere Psicologo, Psicoterapeuta

Studio in Milano, Roma, Napoli e Vietri sul Mare (Sa)

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PERDONARE IL TRADIMENTO

Il seguente brano è tratto dal libro “Le cose dell’amore” edito da Feltrinelli e la cui pubblicazione su sito avviene per gentile concessione dell’autore il Prof. Umberto Galimberti

Non si dà amore senza possibilità di tradimento, così come non si dà tradimento se non all’interno di un rapporto d’amore. A tradire infatti non sono i nemici e tanto meno gli estranei, ma i padri, le madri, i figli, i fratelli, gli amanti, le mogli, i mariti, gli amici. Solo loro possono tradire, perchè su di loro un giorno abbiamo investito il nostro amore. Il tradimento appartiene all’amore come il giorno alla notte.

Non è infatti vero giorno quello che non conosce la notte, e perciò concede una vita e un’amore solo là dove ci possiamo fidare, dove siamo al sicuro, compresi, contenuti e contenti, dove non possiamo essere feriti e delusi, dove la parola data non e mai ritirata.

(….) Nel saggio Il tradimento , che è possibile leggere in Puer Aeternus , James Hillman prende in esame le possibili reazioni al tradimento, indicando tra queste quelle che bloccano la coscienza e quelle che la emancipano.

Innanzitutto la vendetta , che è una risposta emotiva che salda il conto ma non emancipa la coscienza perché quando è immediata non ha altro significato se non quello di scaricare una tensione, mentre quando è procrastinata, quando attende l’occasione buona, restringe la coscienza in fantasie di astiosità e crudeltà, impedendole di fare qualsiasi altra esperienza. La vendetta rattrappisce l’anima.

Non diversamente opera il meccanismo della negazione . Quando in un rapporto uno dei sue subisce una delusione, la tentazione è quella di negare il valore dell’altro prima idealizzato. Non si è voluto vedere l’ombra dell’altro quando si era innamorati, ora, dopo il tradimento, si ricaccia l’altro per intero nella sua ombra. Due eccessi, dove prima l’amore cieco e poi il cieco odio dicono quanto infantile e primitiva è la nostra anima.

Più pericoloso è il cinismo , che non solo nega il valore dell’altro, ma fa dire che l’amore è sempre una delusione, che i grandi amori sono per gli ingenui, cercando, in questo mondo, di cicatrizzare la fiducia infranta. Con i cocci dell’idealismo si costruisce la filosofia del rude cinismo, capace solo di offrire un ghigno a quella che un tempo era la propria stella.

Ma forse ancora più preoccupante del cinismo è il tradimento di se , per cui una confessione, una poesia, una lettera d’amore, un progetto fantastico, un segreto, un sogno, insomma i nostri valori emotivi più profondi diventano cose ridicole, da sbeffeggiare sguaiatamente, per evitare di vergognarsi di averle un giorno provate. E’ una strana esperienza quella di trovarsi a tradire se stessi e a trattare le proprie esperienze emotive vissute nel tempo dell’amore come esperienze negative e spregevoli.

Ma con la vendetta, la negazione, il cinismo, il tradimento di se non siamo ancora all’ultimo stadio in cui, per proteggerci dall’eventualità di essere nuovamente traditi, optiamo per la scelta paranoide che, per instaurare un rapporto esente dalla possibilità del tradimento, mette in atto ingenue liturgie, quali le dichiarazioni di fedeltà eterna, le prove di devozione, i giuramenti di mantenere il segreto. Sono atteggiamenti, questi, che attengono più alla sfera del potere che alla sfera dell’amore. Quando infatti un marito, un amante, un discepolo, o un amico si sforzano di soddisfare i requisiti di un rapporto paranoide, dando assicurazioni di fedeltà per cancellare la possibilità del tradimento, è garantito che ci si sta allontanando dall’amore, perchè amore e tradimento attingono alla stessa fonte.

Se evitiamo di cadere nei pericoli fin qui descritti e quindi di rimanere in essi sterilmente fissati, allora l’esperienza del tradimento può rivelare il suo aspetto più creativo ed evolutivo della coscienza che, per Hillman, come del resto per la tradizione cristiana, trova la sua espressione nel perdono. Riconoscendo il tradimento e passando oltre, il perdono toglie all’amore il suo aspetto più infantile, che è l’ingenuità e l’incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d’ombra. Del resto, scrive Hillman:

Senza l’esperienza del tradimento, ne fiducia ne perdono acquisterebbero piena realtà. Il tradimento è il lato oscuro dell’una e dell’altro, ciò che conferisce loro significato, ciò che li rende possibili.

Ma si può davvero perdonare, se è vero che l’Io si mantiene vitale solo grazie al suo amor proprio, al suo orgoglio, al suo senso dell’onore? Anche quando vorremmo sinceramente perdonare, scopriamo che proprio non riusciamo, perchè il perdono non viene dall’Io. E allora forse, meglio del perdono, che probabilmente è pratica insincera, a me sembra più costruttivo percorrere il sentiero del reciproco riconoscimento , dove chi ha tradito deve reggere la tensione senza cercare di rappezzare la situazione e, con brutalità cosciente, deve al limite rifiutare di rendere conto di se.

Il rifiuto di spiegare significa da un lato non misconoscere il tradimento ma lasciarlo intatto nella sua cruda realtà, e dall’altro che la spiegazione deve venire sempre dalla parte offesa. Del resto chi, dopo essere stato tradito, sarebbe in grado di ascoltare le spiegazioni dell’altro?

Lo stimolo creativo presente nel tradimento dà i suoi frutti solo se è l’individuo tradito a fare un passo avanti, dandosi da se una spiegazione dell’accaduto. Ma per questo è necessario che il traditore non giustifichi il suo tradimento, non tenti di attenuarlo con spiegazioni razionali, perchè questa elusione di ciò che è realmente accaduto è, di tutte le offese, la più bruciante per il tradito, e allora il tradimento continua, anzi si accentua.

Siccome i due sono ancora legati in un rapporto nei nuovi ruoli di traditore e di tradito, possono soccorrersi solo se il traditore non attenua la crudeltà del tradimento e, riconoscendolo senza ammorbidirlo con false giustificazioni, consente all’altro di trovare da se la spiegazione, e così di passare dalla beata innocenza della fiducia originaria, dove mai neanche lontanamente si profilava il male, a quella coscienza adulta, la quale sa che il bene e il male sono inanellati, il piacere si intreccia con il dolore, la maledizione con la benedizione, la luce del giorno con il buio della notte, perchè tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate e insieme tradite, senza una visibile distinzione, perchè l’abisso dell’anima, vuole che così si ami il mondo.

Del resto, se vogliamo seguire il messaggio di Nietszche che ci ha insegnato a scoprire, sotto ogni virtù, il vizio che lo origina, la paura inconfessata che la genera, la debolezza che si vuole nascondere, scopriamo che, ogni volta che siamo in relazione con l’altro, mettiamo in atto anche il nostro desiderio di non annullarci nell’altro. Vogliamo essere con l’altro, ma nello stesso tempo, per salvare la nostra individualità, vogliamo non esserci completamente. Di qui quell’esserci e non-esserci, quel rincorrersi e tradire, che fa parte della relazione amorosa. Perchè l’amore è una relazione, non una fusione. Se infatti non esistessimo come individualità autonome, non solo non potremmo incontrare l’altro e metterci in relazione, ma non avremmo neppure nulla da raccontare all’altro fuso simbioticamente con noi.

Come dice Gabriella Turnaturi nel suo libro Tradimenti , quando lei o lui iniziano un viaggio fuori dal “noi”, e che prescinde dal “noi”, solo per le attese sociali, solo per i precetti religiosi tradiscono, mentre in realtà salvano la loro individualità dell’abbraccio mortale del “noi” che non emancipa, non consente nè crescite nè arricchimenti, e neppure parole da scambiare che non siano già dette o già sapute prima che siano pronunciate.

Tutto questo per dire che l’amore non è possesso, perchè il possesso non tende al bene dell’altro, ne alla lealtà verso l’altro, ma solo al mantenimento della relazione che, lungi dal garantire la felicità, che è sempre nella ricerca e nella conoscenza di se, la sacrificano in cambio della sicurezza. Siamo in due, non sappiamo più chi siamo, ma siamo insieme ad affrontare il mondo. Due esistenze negate, ma tutelate.

Amore è cosa intricata, perchè sempre ci confonde a non ci si chiarisce se si ama l’altro o si ama la relazione, se si soddisfa il nostro bisogno di sicurezza o il nostro bisogno di felicità. Oppure si vuole la felicità, ma non la sua noia. Amore è un gioco di forze dove si decide a quale dio offrire la propria vita: al dio della felicità che sempre accompagna la realizzazione di se, o al dio della sicurezza che molto spesso si affianca alla negazione di se.

Una cosa è certa: che nella relazione, nel “noi” non ci si può seppellire come in una tomba. Ogni tanto bisogna uscire, se non altro per sapere chi siamo senza di lei o di lui. solo gli altri, infatti, ci raccontano le parti sconosciute di noi. Gli altri, se li lasciamo parlare, senza soffocarli con il nostro bisogno di conferme che di solito, sbagliando, siamo soliti chiamare bisogno d’amore.

Nel viaggio che si intraprende fuori dal “noi” e che prescinde dal “noi”, è il “noi” che si tradisce, raramente il “tu”. Quel che si imputa al traditore è di essere diventato diverso e di muoversi non più in sintonia, ma da solo. Soltanto se si accetta il cambiamento dell’altro e lo si accoglie come una sfida a ridefinirsi e a ridefinire la relazione, il tradimento non è più percepito come tale. Ma ridefinirsi è difficile, così come accettare il cambiamento. Per questo le vie più combattute sono quelle della fedeltà, o in alternativa quelle del risentimento e della vendetta.

Se queste considerazioni hanno una loro plausibilità occorre riscattare, almeno in parte, i traditori dell’infamia di cui solitamente si sono ricoperti, perchè in ogni tradimento c’è un lampeggiare di verità e autenticità che ci è tradito non vuol mai vedere. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un’idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa svincolarsi da un’appartenenza e creare uno spazio d’identità non protetta da alcun rapporto fiduciario,e quindi in un certo senso più autentica e vera.

Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma non possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: “Non sono come tu mi vuoi”.

C’è infatti in ogni amore, da quello dei genitori a quello dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all’interno di quel recinto che è l’amore che non dobbiamo tradire. Ma in ogni amore che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c’è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d’ombra.

Eppure senza profilo d’ombra, quella che puerilmente chiamiamo “amore”, c’è l’incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita, che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero addio. E in ogni addio c’è lo stigma del tradimento e insieme dell’emancipazione. C’è il lato oscuro dell’amore, che però è anche ciò che gli conferisce il suo significato e che lo rende possibile.

Amore e tradimento devono infatti l’un l’altro la densità del loro essere, che emancipa non solo per il traditore ma anche il tradito, risvegliando l’un l’altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa, impropriamente scambiata per amore. Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita.

Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di se che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall’altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo dell’amore, la sua identità ara solo un dono dell’altro. Tradendolo, l’altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come “un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino”.

Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà. Forse perchè la vita preferisce chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in una casa protetta, dove il camuffamento dei nomi fa chiamare “amore” quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi si è davvero, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.

Dott. Roberto Cavaliere Psicologo, Psicoterapeuta

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